Transizione alla genitorialità - Attraversare la crisi tra mito e realtà

da PsicoIn Anno XV Numero 1 2021 - Numero monografico dedicato alla Psicologia Perinatale della rivista dell'Ordine degli Psicologi delle Marche 

1. INTRODUZIONE

“In cima al monte della tua pancia non so decidere se la mia vita sta andando in salita o in discesa. … Fino ad oggi la vita mi ha abituato ad avere sempre tutto sotto controllo. Il mio lavoro lo faccio scorrere lungo il binario del prevedibile. Ora tu vieni, invece, a portare una nuova regola: la regola della non regola. Non so chi sei, non so come sarai, so solo che ci sei. E questo a volte mi fa sperimentare una vertigine assoluta. Mi sembra di camminare come un acrobata che muove lentamente i suoi passi su una fune sospesa a metri da terra. … E una grandissima paura, che nasce dal profondo, da un luogo sotterraneo e nascosto dentro di me - cui io non riesco ad avere accesso - mi paralizza e ferma il mio cammino. Ho paura, ho una enorme paura”.
(A. Pellai, 2007)

Al momento del ritorno a casa nel dopo parto, il neonato nucleo familiare sembra essere accolto da un grande vuoto.

Fino al momento della nascita, generalmente ci si ritrova in un carosello di attenzioni che investono soprattutto la mamma, anche se per lo più si tratta di attenzioni di natura prettamente medica e di informazioni improntate alla performance e all’efficientismo. Una volta nato il bambino, tornati a casa, dopo tanti mesi di grande fermento e preparazioni, ci si ritrova spesso soli a fronteggiare una situazione di incertezza e di estrema vulnerabilità emotiva. Particolarmente nel caso del primo figlio, la domanda che accoglie i neogenitori sulla soglia della loro nuova vita in tre è: e ora? Già le prime ore e giorni dopo la nascita, ancora in ospedale in un ambiente che ci si aspetterebbe dover accogliere e tutelare la diade madre-bambino appena costituita, capita di doversi invece scontrare con pareri e informazioni spesso contrastanti che alimentano confusione e senso di inadeguatezza. (Grandolfo, 2012) Soprattutto in una società in cui il mandato mediatico sembra essere quello di una maternità zuccherosa e di esaltazione dell’abnegazione in mancanza di qualsivoglia affettività “negativa”, ritrovarsi a dover costruire la relazione col nuovo membro della famiglia mentre nel contempo si attraversano oscillazioni emotive intense può sembrare paradossale. Genitore e bambino reale sono, inizialmente, sconosciuti e può essere difficile e doloroso rendersi conto che dove ci si aspettava una sintonia automatica ed immediata ad attendere ci sono invece un rapporto ed una conoscenza quasi interamente da costruire. (Stern, Bruschweiler-Stern, 1999, Marinopoulos, 2006) Se mamma e bambino stanno bene, pochi giorni dopo il parto rientrano a casa insieme al papà, in un ambiente che è contemporaneamente vecchio e nuovo e che tutti insieme dovranno imparare ad abitare. Per quanto si pensi di essersi preparati durante la gravidanza, non si è mai veramente pronti a ciò che significa l’arrivo reale di un piccolo essere umano in carne, ossa e bisogni che vanno ad incrociare e sovrastare i propri. La nascita del bambino reale nella mente della madre e del padre, così come quella dell’assetto interno genitoriale, ha tempi diversi da quelli della nascita fisica: il figlio può nascere pienamente quando trova uno spazio per vivere non solo nel mondo reale ma anche nello spazio mentale di chi si prende cura di lui. (Cardinali, Guidi, 1992; Stern, Bruschweiler-Stern, 1999; Marinopoulos, 2006; Bezzi, 2018) Questo tempo di costruzione e cambiamenti nelle dinamiche e nell’organizzazione familiare, oltre che nella propria identità, è scandito da emozioni estreme, in cui l’amore per il proprio figlio a volte rischia di rimanere soffocato dall’altra faccia della medaglia: pianti inconsolabili, ritmi sonno-veglia completamente sballati e inadeguati, stanchezza, frustrazione, sbalzi d’umore, paure ed incertezze che, se non trovano il giusto spazio di espressione, possono diventare un carico intollerabile. Lo stravolgimento dei ritmi, delle abitudini, degli spazi fisici e mentali e l’inevitabile quanto inaspettata ambivalenza emotiva del post parto, possono rappresentare un vero e proprio shock per i neogenitori, le cui risorse, tanto individuali quanto di coppia, sono messe a dura prova. La solitudine, reale o esperita che sia, nella quale spesso tutto questo viene affrontato può alimentare il naturale senso di inadeguatezza, gravando tanto sulla qualità della vita dei genitori quanto sulla possibilità di creare un ambiente psichico e di cure adeguato per la crescita del bambino. Ad amplificare la portata dello shock, per così dire, fisiologico, contribuiscono diversi fattori. La genitorialità è infatti un costrutto complesso, a cui partecipano componenti culturali, sociali, giuridiche che incontrano altre componenti più private, individuali e familiari, non sempre amalgamandosi ma, anzi, talvolta entrando dolorosamente in conflitto. A livello sociale e culturale, l’immagine idealizzata della genitorialità, soprattutto materna, spesso non permette ai personali vissuti reali di trovare ascolto, espressione, dignità d’essere senza sentirsi profondamente in difetto, mancanti e, perciò, sbagliati. Nell’immaginario comune la madre è sin da subito capace di sintonizzarsi con il proprio bambino, che viene subito sentito come figlio e con il quale instaura un idillio di gioia e amore che annulla ogni altra cosa. Ritrovarsi perciò nello scenario, più comune di quanto la società sia disposta ad accettare, in cui il mito dell’istinto materno non compie immediatamente la propria magia, provoca doloroso stupore, portando la donna a pensare di avere qualcosa che non va. L’idealizzazione della maternità contribuisce inoltre all’incapacità di accettare, senza sentirsi in colpa, gli inevitabili momenti di stanchezza, irritazione, insofferenza, rabbia nei confronti del bambino; ma anche l’aggressività è una componente della maternità e dell’amore genitoriale. Poter riconoscere e dialogare con l’ambivalenza è fondamentale per non lasciarsi annientare e rischiare di agirla. In un momento di enorme vulnerabilità psichica, in cui la madre avrebbe bisogno di sentirsi sostenuta e accolta in tutta la propria estrema fragilità sulla quale gravano un modello ed un mandato sociali pericolosi nella loro rigidità e sordità, tutto questo ostacola, piuttosto che favorire, il processo di conoscenza e di sintonizzazione con i bisogni del bambino, oltre che con i propri, e l’assunzione graduale dell’identità genitoriale. (Marinopoulos, 2006; Dabrassi, Imbasciati, Della Vedova, 2009; Galimberti, 2009; Sbezzi, 2018)

2. TRANSIZIONE ALLA GENITORIALITÀ COME CRISI DEL CICLO DI VITA

L’arrivo di un neonato comporta uno dei cambiamenti più profondi e stravolgenti rispetto all’intero ciclo di vita della famiglia: nuovi ruoli da assumere e integrare nella propria identità, nuovi livelli della relazione con il partner e con il proprio ambiente in generale, responsabilità dello sviluppo di un altro essere umano totalmente dipendente per la propria sopravvivenza psichica e fisica. (Nyström, Ohrling, 2004; Cadei, Simeone, 2010)

Il periodo perinatale è quindi di per sé un tempo della vita eccezionalmente trasformativo e vulnerabile, al di là dell’eventuale presenza di complicazioni specifiche: è quello che si definisce un momento di crisi evolutiva, con tutto il corollario di complicazioni e potenzialità. È sbagliato assegnare automaticamente, come comunemente avviene, una connotazione negativa al termine: crisi è un processo di cambiamento conseguente alla rottura di un equilibrio preesistente che si rivela non più adeguato. L’esito non è né definibile a priori, né necessariamente evidente. Di per sé il processo di crisi è intrinsecamente ambiguo, contenendo un doppio potenziale maturativo e patogeno. Mentre la crisi è in atto, chi si trova ad attraversarla non sa come finirà; lo sbocco verso cui tenderà il nuovo assetto di funzionamento dipenderà da risorse e vulnerabilità interne legate al proprio assetto identitario, ma anche da fattori esterni legati alle risorse ambientali. Nell’economia incerta e delicata che caratterizza ogni processo di crisi, la rivoluzione della genitorialità è una di quelle situazioni in cui i fattori ambientali possono giocare un ruolo decisivo nella minor o maggiore difficoltà di transizione e nella percezione soggettiva delle difficoltà. (Racamier, Taccani, 1986; Cadei, Simeone, 2010; Molgora, Saita, Fenaroli, 2010; Umberson, Pudrovska, Reczek, 2010) Se la risoluzione positiva della crisi corrisponde ad un nuovo equilibrio e a nuove identità funzionali e soddisfacenti, è anche vero che il modo di raggiungere tali conquiste può essere molto diverso e più o meno doloroso, anche quando non francamente psicopatologico. Osservando coppie che affrontano i primi mesi della loro nuova vita accanto al proprio bambino, è possibile osservare non solo l’idillio, ma anche la drammaticità dell’incontro fra persone che solo col tempo diverranno pienamente madre, padre e figlio. (Sbezzi, 2018) Soprattutto il primo anno di vita con il bambino, richiede un dispendio di energie e risorse interne ed esterne tale da assumere caratteri soverchianti. Da decenni le ricerche in campo sociale evidenziano come in termini di effetti sul benessere dei genitori, almeno per quanto riguarda i primi anni di vita, i costi sembrano addirittura superare i benefici (rapporto che si ribalta nelle ricerche in famiglie con bambini più grandi: superati i primi anni, i figli hanno effetti positivi sulla percezione di benessere dei genitori). Ricerche più recenti e avanzate hanno poi integrato sia una diversificazione delle dimensioni di benessere che considerato fattori ambientali, personali e familiari che contribuiscono alla percezione soggettiva di benessere richiamando l’attenzione sull’assenza, nella società occidentale, di adeguato sostegno del servizio pubblico. (Umberson, Pudrovska, Reczek, 2010) Una review della letteratura (Nyström, Horling, 2004) che si proponeva di descrivere l’esperienza genitoriale materna e paterna nel primo anno di vita del bambino, ha evidenziato non solo le specificità nei vissuti e nelle difficoltà affrontate dai due partner per far fronte alla sopraffazione, ma soprattutto l’importanza del fornire ai neo-genitori un supporto. Dalla review emerge come entrambi i partner siano aiutati, nel fronteggiare l’eccessiva fatica e tensione della situazione, oltre che dal sostegno del partner e della propria rete di riferimento, anche dalla possibilità di discutere e riflettere su di sé e la propria esperienza della genitorialità in spazi dedicati, necessari tanto più nella famiglia e società odierna. L’assetto familiare occidentale moderno può infatti rappresentare terreno fertile per l’amplificazione, da parte delle aspettative irrealistiche a cui sono sottoposti i genitori da più parti, del normale vissuto di inadeguatezza dato dalla transizione alla genitorialità che andrebbe piuttosto normalizzato, accolto ed elaborato per salvaguardare il benessere dell’adulto, del nucleo familiare e del sano sviluppo psicofisico del bambino. (Galimberti, 2009)

3. SOLITUDINE MODERNA E RICERCA DI NUOVI MODELLI

Sono molteplici le modifiche subite dalle famiglie nel corso del secolo passato in funzione delle radicali trasformazioni sociali, demografiche e culturali: inurbamento, nuclearizzazione familiare, minor numero di figli, ruolo della donna, etc. Tutti questi fenomeni di rapida modifica e complessificazione della società occidentale hanno avuto diverse conseguenze, ancora in evoluzione, sulle modalità di transizione alla genitorialità, in particolare sulle modalità di trasmissione, acquisizione ed elaborazione delle conoscenze oltre che sulla definizione della progettualità educativa. (Nyström, Ohrling, 2004; Andreoli, 2009a; Crittenden, Landini, 2012; Zambianchi, 2012; Grussu, Bramante, 2015)

In passato, infatti, in famiglia si faceva esperienza del rapporto con neonati e bambini nel proprio contesto familiare, che era spesso quello di famiglie estese, e nel rapporto con le altre donne e famiglie del proprio contesto di vita. I nuclei familiari e il loro quadro di riferimento ambientale comprendevano molte persone di diverse età: i primogeniti spesso imparavano a prendersi cura dei fratelli successivi, mentre gli ultimi figli si occupavano dei nipoti nati nel frattempo dai fratelli più grandi o dai cugini; oggi non è raro che i neogenitori non abbiano mai preso un bambino in braccio prima del proprio figlio. Questo tipo di esperienza familiare, oltre a fornire una sorta di preparazione di base, una conoscenza di ciò che vuol dire allevare un bambino e delle sue richieste e necessità, rappresentava anche una rete di sostegno per madre e figlio. Un altro fattore che ha contribuito alla perdita di modelli di riferimento è l’innalzamento dell’età media in cui si diventa genitori. Ciò ha infatti contribuito al divario fra modelli e nozioni genitoriali passate e moderne. Tutte queste modifiche socio-culturali hanno determinato la perdita progressiva di una rete di riferimento e sostegno a cui potersi aggrappare nei momenti di incertezza e spaesamento, contribuendo in alcuni casi a rallentare l’adattamento relazionale fra genitori e bambino. (Molinar Min, Tosco; 2005Andreoli, 2009a; Crittenden, Landini, 2012) D’altro canto, negli stessi anni l’aumento generalizzato della scolarizzazione, delle scoperte e divulgazione scientifica in ambito evolutivo hanno portato ad una attenzione sempre maggiore per le esperienze precoci infantili nella consapevolezza della loro influenza per lo sviluppo psicofisico del bambino. Ciò ha dato impulso per la dinamicizzazione e personalizzazione dello stile genitoriale ma, nello sforzo a volere il meglio per il proprio figlio ed essere genitori migliori, ha anche alimentato insicurezza, dubbi, paura di sbagliare e la ricerca spasmodica di risposte e modelli rassicuranti da seguire. (Andreoli, 2009a; Andreoli, 2009b; Battaglia, 2009; Soavi, 2009; Crittenden, Landini, 2012; Zambianchi, 2012) La sempre maggior conoscenza delle dinamiche evolutive se da una parte ha determinato la possibilità per il figlio di acquisire dignità di soggetto attivo fin da prima della nascita fisica, dall’altra, passando attraverso le maglie della moderna società e degli ideali di ricerca di perfezione e controllo, è stata spesso e volentieri (mal)tradotta nel modello poco flessibile, pedagogizzante e deterministico del “bravo genitore”, concentrandosi generalmente sulle supposte mancanze e poco o nulla sulle risorse degli individui in giudizio e senza lasciare spazio alla sana possibilità di sbagliare e riparare. Genitore e figlio hanno infatti bisogno di poter fare esperienza dell’errore e della fallibilità umana e relazionale per elaborare le proprie capacità riparative di risposta. (Stern, Bruschweiler-Stern, 1999 Crittenden, Landini, 2012; Cicchiello, 2017) Il grande fiorire di risposte standardizzate che radicano e diffondono nell’immaginario sociale, con l’aiuto della comunicazione massmediologica, una causalità lineare tra benessere e sano sviluppo infantile e l’adesione spersonalizzata alle prescrizioni manualizzate, non fa che alimentare i vissuti di colpevolizzazione e di inadeguatezza cui si propone di dare risposta, non essendo possibile corrispondere senza inevitabile scarto ad un modello non calato sulle specificità dei bisogni, delle preferenze e delle risorse del singolo nucleo familiare. Anche quando i principi alla base di tali modelli sono corretti, derivanti da evidenze scientifiche e dalle moderne conoscenze della ricerca in ambito evolutivo, il pericolo sta nel presentarli come ricette e istruzioni da seguire pedissequamente e non come linee guida cui attingere e riferirsi a partire dal proprio personale vissuto e dall’esperienza familiare specifica. Non solo: per poter realmente modificare eventuali modalità relazionali disfunzionali, a nulla serve educare comportamenti coscienti se non si agisce a livello della struttura emozionale implicita su cui si innesta la comunicazione e il contatto con il bambino, che passa attraverso canali prevalentemente pre-verbali. (Imbasciati, 2012) I neogenitori sono spesso portati a tradurre la propria insicurezza in una tendenza alla ricerca di qualcuno che possa dire loro cosa fare e come, qualcuno più bravo di loro. Sarebbe auspicabile che almeno i professionisti dell’area materno-infantile, nell’accogliere il bisogno e lo smarrimento di chi si rivolge loro, non concorrano ad alimentare questa tendenza alla delega e alla ricerca di comportamenti educabili. Spostandosi dal tradizionale modello assistenziale cosiddetto di curing che asseconda interventi di tipo sostitutivo, a modelli di caring, in cui l’impostazione relazionale e di tipo “orizzontale” miri non a rinforzare l’idea che ci sia qualcuno che sappia come “fare meglio il genitore” ma a sostenere i genitori nella ri-scoperta e nella stimolazione delle risorse personali passando per una conoscenza e dinamicizzazione del proprio assetto affettivo. Aiutare i genitori a strutturare un ambiente relazionale e mentale sufficientemente buono per il proprio figlio e per sé stessi, passa innanzitutto per l’accettazione che tale spazio psichico non è educabile. Poter sostenere le esigenze di cura del neonato ed essere non genitori bravi ed efficienti ma genitori sufficientemente buoni, richiede aver cura innanzitutto del proprio assetto mentale. Questo passaggio di consapevolezza è necessario e non banale, in quanto occorre innanzitutto poter depotenziare il “latente ed oscuro senso di colpa dei genitori che impedisce loro di vedere quando la relazione col bambino non va bene … (e che) procede dal riduttivismo coscienzialista per cui si vivono le proprie capacità mentali come fossero coscienti e controllabili con una cosciente responsabilità”. Gli approcci educativi e prescrittivi appaiono rassicuranti sul momento, ma quanto aiutano i genitori sul lungo periodo? (Imbasciati, 2007; Battaglia, 2009; Imbasciati, 2012; Zambianchi, 2012) Ciò di cui ogni neogenitore avrebbe allora piuttosto bisogno è uno spazio e un tempo di attenzione alla perinatalità psichica del nucleo familiare. Uno spazio e un tempo per la condivisione e socializzazione dei propri vissuti, che da un lato possa fornire esempi e modelli cui attingere per affrontare il proprio personale modo di diventare ed essere genitore e dall’altra dia modo di normalizzare le ansie, angosce ed ambivalenze nel confronto con quelle degli altri genitori che vivono lo stesso smarrimento. Uno spazio e un tempo in cui lavorare sulle proprie rappresentazioni interne e sulle proprie memorie implicite. Uno spazio e un tempo per poter pervenire ad una riflessione onesta e compassionevole su di sé e sulla relazione con il proprio bambino e col proprio partner, in modo da poter attingere alle informazioni interne oltre che a quelle esterne e potersi sperimentare come competente e capace di amare, al di là delle molteplici voci che intorno spiegano quando, come e cosa sia più giusto sentire con e per il proprio figlio. (Stern, Bruschweiler-Stern, 1999; Andreoli, 2009b; Imbasciati, 2012; Gioia, 2017)

4. PRENDERSI CURA DELLO SPAZIO-TEMPO PERINATALE

“I primi mesi e anni di vita del bambino sono un periodo critico anche per la formazione di una madre e di un padre; un aiuto, se competente e fornito al momento giusto, può servire molto e i vantaggi di un trattamento su un bambino molto piccolo ci sono a questo punto ben noti; ora auspichiamo che anche i genitori ricevano un aiuto appena «nati»”

(Bowlby, 1979, p.21)

Da tutto quanto detto discende l’importanza di potersi prendere cura di questa sofferenza, fornendo alla coppia (prima) e alla triade (poi) spazi di elaborazione che testimonino un’attenzione per la genitorialità psichica almeno analoga a quella che negli anni si è sempre più manifestata per la genitorialità fisica, superando il deleterio dualismo mente-corpo; senza rinnegare le grandi conquiste derivate dalla medicalizzazione della gravidanza ma superandone i limiti attraverso il recupero di tutta l’area psichica, nel tempo chirurgicamente estromessa a spese della salute di tutti gli autori coinvolti. (CNB, 2005; Marinopoulos, 2006; Imbasciati, 2007; Grandolfo, 2012; Alderdice, 2018)

Perché se è vero che sono molti i genitori che si adattano con relativa facilità alla nuova vita e alle nuove richieste, è altrettanto vero che le difficoltà e sofferenze in quest’area sono spesso taciute e nascoste per paura del giudizio sociale e per timore di essere considerati genitori incapaci. Per non dire della grande quantità di vere e proprie condizioni psicopatologiche, sia materne che paterne, che non arrivano a diagnosi per le stesse motivazioni, con le conseguenze a carico di genitore, bambino e intero sistema sanitario. Un dato su tutti: una delle prime cause di mortalità materna è la mancanza di trattamento della depressione perinatale. Ma senza arrivare a tanto, ne va della qualità della vita dell’intero nucleo e dello sviluppo psicofisico del bambino, per non parlare della relazione di coppia. (Cardinali, Guidi, 1992; Molgora, Saita, Fenaroli, 2010; Baldoni, 2016; Bramante, 2018) La gamma di esperienze e di modalità di reagire al riassetto è ampia ma porre attenzione al benessere psicologico e allo spazio-tempo della genitorialità psichica ha ricadute positive ad ognuno dei livelli di questo continuum. Non si tratta di far passare un profilo di esperienza psichica perinatale valido per tutti, ma di far sì che ogni futuro genitore, con le proprie fragilità e con le proprie risorse, conosca e sia consapevole delle dinamiche sottese, trovando contestualmente la possibilità di accedere a spazi in cui poterle attraversare insieme ad altri. (Grussu, Bramante, 2018) Anche perché c’è un aspetto che colpisce e che emerge spesso dalle ricerche: il disagio psichico di questo momento della vita così particolare, risponde a minime sollecitazioni. Lo aveva già visto la Bibring (1961): anche le perturbazioni maternali che spesso e volentieri evocavano modalità psichiche simil-psicotiche reagivano in modo favorevole a misure psicoterapiche di portata modesta, in ragione dell’estrema sensibilità e reattività del periodo puerperale all’ambiente reale. (Racamier, Taccani, 1986) La fragilità di questo periodo, se adeguatamente supportata psicologicamente, da fonte di pericolo può infatti trasformarsi in fonte di creatività e di ristrutturazioni benefiche (Cena, Imbasciati, 2012a) È importante potersi prendere cura degli stati interni e mentali propri e del proprio bambino, coltivando le proprie capacità metacognitive e di riparazione attraverso un lavoro che permetta di entrare in contatto, ascoltare ed esprimere le proprie emozioni. La capacità riparativa, infatti, è un atto creativo fondamentale nello sviluppo della perinatalità psichica del nucleo familiare, che permette di non soccombere agli inevitabili errori di sintonizzazione e contatto nella relazione ma piuttosto di riparare gli effetti delle componenti aggressive. Capacità di comprendere gli stati mentali, funzioni metacognitive e capacità riparative sono tutte funzioni che si esercitano primariamente su dati affettivi, nella nostra società spesso poco favorite e veicolate. Ma è proprio questo lo spazio e il tempo che occorrerebbe poter fornire in epoca perinatale nei servizi. Insieme alla possibilità di elaborare e pervenire ad una rilettura delle proprie esperienze infantili e nella relazione con i propri genitori, che hanno una influenza diretta sulle aspettative e sulle rappresentazioni interne della genitorialità, e alla condivisione di tutto questo con altri che stiano attraversando le stesse ambivalenze e insicurezze. (Stern, Bruschweiler-Stern, 1999; Manfredi, 2007; Imbasciati, 2012) Una offerta di questo tipo presuppone e necessita di una formazione adeguata e continua di tutti coloro che operano, a diversi livelli e con specifici ruoli, in area perinatale. Ciò rappresenta un primo step di difficoltà, da affrontare anche tramite un cambiamento concettuale che miri a sanare la già citata inopportuna cesura mente-corpo e a partire dai percorsi formativi universitari e di specializzazione e da proseguire con aggiornamenti costanti. (Cena, Imbasciati, 2012b) Gli sforzi in tal senso sono più che mai necessari, come investimento sia in termini di salvaguardia del benessere e della salute della popolazione ma anche in termini economici e in reale applicazione di POMI e LEA. Perché la salute perinatale non dovrebbe essere un lusso per pochi, frutto di incontri fortunati e casuali con operatori formati per sensibilità personale, ma diritto dell’intera comunità. (Grandolfo, 2012; Quatraro, Grussu, 2018)

5. CONCLUSIONI

Porre attenzione alla “vulnerabilità parentale” (Soulè, Noël, 1999) fornendo un sostegno al carico psichico rappresentato dalla transizione alla genitorialità attraverso spazi di condivisione e riflessione in cui i neo-genitori sentano accolti i propri vissuti, è un compito che dovrebbe prefiggersi chiunque si occupi di salute perinatale.

In quest’ottica, la psicologia perinatale porta un corpus di competenze che sarebbe auspicabile poter integrare nei servizi forniti alla popolazione in ottica di prevenzione tanto primaria quanto secondaria e terziaria.

- Primaria: attraverso screening su fattori di rischio noti integrabili anche nelle visite di ginecologi, pediatri e MMG, lavorando sin dal pre-parto con i genitori e a livello di divulgazione in modo da contribuire a veicolare un’immagine della genitorialità più realistica nella sua complessità, nella formazione degli operatori per contribuire ad una continuità dell’assistenza che sia il più coerente ed attenta possibile;

- secondaria: fornendo spazi di condivisione post-parto che favoriscano una transizione alla genitorialità sostenuta nella varietà dei vissuti, tanto per coloro che necessitano semplicemente di una risposta alla solitudine o a difficoltà transitorie, quanto per coloro i quali le risorse individuali e familiari mostrano maggiore fragilità nel processo di riassetto identitario, permettendo in tal modo anche di individuare e intervenire precocemente a seconda del minore o maggiore rischio di eventuali evoluzioni patologiche;

- terziaria: intervenendo in quei casi in cui sia già in atto una condizione di inadeguata sintonizzazione sia con i bisogni emotivi del/degli adulto/i che con quelli psicofisici del bambino, quando non una vera e propria psicopatologia. (CNB, 2005; Marinopoulos, 2006; Cena, Imbasciati, 2012a,b; Bramante, 2018; Biaggi, Pariante, 2018; Quatraro, Grussu, 2018)

La possibilità di fornire uno spazio e un tempo per l’accoglienza psichica dell’intero nucleo familiare, passa anche attraverso una ridefinizione concettuale che pensi al momento della nascita come parte di un percorso processuale di vera e propria perinatalità: dai vecchi corsi di preparazione al parto, agli attuali percorsi di accompagnamento alla nascita per arrivare a servizi continuativi che integrino coerentemente almeno anche il puerperio se non il primo anno post parto e che coinvolgano in modo significativo tutti i livelli del nucleo: madre, padre, coppia e triade con possibilità di personalizzazione dei percorsi al bisogno. (Cardinali, Guidi, 1992; Grassi, Guana, 2007; Imbasciati, 2007; Cena, Imbasciati, 2012a,b; Grandolfo, 2012)

Tutto ciò concorre alla creazione di un ambiente sufficientemente buono non solo per il bambino ma per l’intero sistema, fornendo sostegno alle potenzialità evolutive sia del figlio che può pienamente diventare tale che di chi si prende cura di lui che può così pienamente e fecondamente diventare genitore. Supportare la transizione alla genitorialità prendendosi cura tanto delle vulnerabilità quanto delle risorse di ogni nucleo familiare, significa in ultima analisi, favorire le potenzialità evolutive degli adulti di oggi e di quelli di domani e, pertanto, dell’intera comunità.


Bibliografia
Alderdice Fiona (2018), Prefazione, in (a cura di) Quatraro Rosa Maria, Grussu Pietro (2018), Psicologia clinica perinatale – dalla teoria alla pratica, Edizioni Centro Studi Erickson, Trento.
Andreoli Simonetta (2009a), Genitorialità a confronto, in Centro di Documentazione GIFT – U.O. politiche Familiari e Genitorialità, Essere genitori oggi – Contesti che cambiano, difficoltà di sempre, Quaderno GIFT, Comune di Ferrara

Andreoli Simonetta (2009b), Il tempo per le famiglie – Intervista a Susanna Mantovani, in Centro di Documentazione GIFT – U.O. politiche Familiari e Genitorialità, Essere genitori oggi – Contesti che cambiano, difficoltà di sempre, Quaderno GIFT, Comune di Ferrara
Baldoni Franco (2016), I disturbi affettivi perinatali nei padri, in (a cura di) Grossu Pietro, Bramante Alessandra (2016), Manuale di psicopatologia perinatale – Profili psicopatologici e modalità di intervento, Edizioni Centro Studi Erickson, Trento.
Battaglia Antonella (2009), Cambiano i contesti, cambiano i genitori? in Centro di Documentazione GIFT – U.O. politiche Familiari e Genitorialità, Essere genitori oggi – Contesti che cambiano, difficoltà di sempre, Quaderno GIFT, Comune di Ferrara
Biaggi Alessandra, Pariante Carmine M. (2018), Fattori di rischio per la depressione e l’ansia nel periodo perinatale, in (a cura di) Grussu Pietro, Quatraro Rosa Maria (2018), Psicologia clinica perinatale – Dalla teoria alla pratica, Edizioni Centro Studi Erickson, Trento.
Bibring Grete L, Dwyer Thomas F, Huntington Dorothy S, Valensteinv Arthur F (1961), A study of the psychological processes in pregnancy and of the earliest Mother-Child relationship, in “The psychoanalitic study of the child”, 16/1961:1:9-27.
Bowlby John (1979), The making and breaking of affectional bonds, Trad. It. (1982), Costruzione e rottura dei legami affettivi, Raffaello Cortina Editore, Milano.

Bramante Alessandra (2018), Screening e identificazione precoce delle donne a rischio di psicopatologia perinatale, in (a cura di) Grussu Pietro, Quatraro Rosa Maria (2018), Psicologia clinica perinatale – Dalla teoria alla pratica, Edizioni Centro Studi Erickson, Trento.
Cadei Livia, Simeone Domenico (2010), Diventare genitori. Fantasie e narrazioni in un’epoca tecnologica, in “Education Sciences & Society”, 1:2:130-144
Cardinali Federico, Guidi Gabriella (1992), La coppia in crisi di gravidanza – Sulla necessità di ripensare l’intervento istituzionale, in “Terapia Familiare”, 38/1992
Cena Loredana, Imbasciati Antonio (2012a), L’intervento in psicologia clinica perinatale. Integrazione con i percorsi di cura in ostetricia, neonatologia, pediatria, neuropsichiatria infantile, in Cena Loredana, Imbasciati Antonio, Baldoni Franco (2012), Prendersi cura dei bambini e dei loro genitori, Springer, Milano.
Cena Loredana, Imbasciati Antonio (2012b), Prendersi cura della generatività, genitorialità e cogenitorialità con gli operatori socio-sanitari per una profilassi psicoeducativa, in Cena Loredana, Imbasciati Antonio, Baldoni Franco (2012), Prendersi cura dei bambini e dei loro genitori, Springer, Milano.
Cicchiello Stefania (2017), La depressione perinatale materna e paterna. Fattori di rischio, aspetti clinici e possibili interventi, in “Cognitivismo Clinico”, 14:1:22- 45.
CNB – Comitato Nazionale per la Bioetica (2005), Aiuto alle donne in gravidanza e depressione post partum, Documento approvato nella seduta plenaria del 16 Dicembre 2005 disponibile all’indirizzo
http://bioetica.governo.it/ it/documenti/pareri-e-risposte/aiuto-alle-donne-in-gravidanza-e-depressione-post-partum/
Dabrassi Francesca, Imbasciati Antonio, Della Vedova Anna Maria (2009), Il supporto Sociale in Gravidanza: validazione Italiana e valutazione dello strumento, in “Giornale di Psicologia”, 3:2:141-152.
Galimberti Umberto (2009), I miti del nostro tempo, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano.
Gioia Cecilia (2017), Diventare genitori altrove, https://www.unicef.it/media/corso-universitario-unicef-cosenza-2017/
Grandolfo Michele (2012), Percorso nascita e corsi di accompagnamento alla nascita: basi conoscitive, progettazione operativa, implementazione e valutazione delle attività, in (a cura di) Lauria Laura, Lamberti Anna, Buoncristiano Marta, Bonciani Manila, Andreozzi Silvia (2012), Percorso nascita: promozione e valutazione della qualità di modelli operativi. Le indagini del 2008-2009 e del 2010-2011, Rapporti ISTISAN 12/39, Istituto Superiore di Sanità, Roma
Grassi Lucia, Guana Miriam (2007), Educazione alla salute e al benessere nel percorso nascita, in Imbasciati Antonio, Dabrassi Francesca, Cena Loredana (2007), Psicologia Clinica Perinatale – Vademecum per tutti gli addetti alla nascita (genitori inclusi), Piccin Nuova Libraria, Padova.
Grussu Pietro, Bramante Alessandra (2015), Introduzione, in (a cura di) Grussu Pietro, Bramante Alessandra (2016), Manuale di psicopatologia perinatale – Profili psicopatologici e modalità di intervento, Edizioni Centro Studi Erickson, Trento.

Imbasciati Antonio (2007), Dalla psicoprofilassi alla psicologia clinica perinatale, in Imbasciati Antonio, Dabrassi Francesca, Cena Loredana (2007), Psicologia Clinica Perinatale – Vademecum per tutti gli addetti alla nascita (genitori inclusi), Piccin Nuova Libraria, Padova.
Imbasciati Antonio (2012), Curare i genitori per aver cura dei bambini, in Cena Loredana, Imbasciati Antonio, Baldoni Franco (2012), Prendersi cura dei bambini e dei loro genitori – La ricerca clinica per l’intervento, Springer-Verlag Italia, Milano.
Manfredi Paola (2007), Uno sguardo sulla genitorialità tra lo psichico ed il sociale, in Psicologia Clinica Perinatale – Vademecum per tutti gli addetti alla nascita (genitori inclusi), Piccin Nuova Libraria, Padova.
Marinopoulos Sophie (2006), Nell’intimo delle madri, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano. Molgora Sara, Saita Emanuela, Fenaroli Valentina (2010), Genitorialità: dai fattori critici ai percorsi di transizione – I. Orientarsi nella ricerca, in “Rivista di Psicologia clinica”, 2:197-208.
Nyrstöm Kerstin, Ohrling Kerstin (2004), Parenthood experiences during the child’s first year: literature review, in “Journal of Advanced Nursing”, 46:3:319-330
Molinar Min Monica, Tosco Elena (2005), Ruolo socio-sanitario dell’ostetrica nell’Organizzazione e nell’accompaganamento della puerpera, del partner e del bambino al “ritorno a casa”, in Atti della Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia – Vol. LXXXI, Critical Medicine Publishing, Roma.
Pellai Alberto (2007), Sul monte della tua pancia. Le emozioni di un uomo in attesa di un figlio, Edizioni San Paolo, Milano.
Quatraro Rosa Maria, Grussu Pietro (2018), Introduzione, in (a cura di) Grussu Pietro, Quatraro Rosa Maria (2018), Psicologia clinica perinatale – Dalla teoria alla pratica, Edizioni Centro Studi Erickson, Trento.
Racamier Paul-Claude, Taccani Simona (1986), La crisi necessaria. Il lavoro incerto, Franco Angeli Editore, Milano.
Sbezzi Maria Luisa (2018), Il puerperio – oltre la poesia, in Donatella Lisciotto (a cura di), I volti della maternità, “Società Italiana Psicoterapia Psicoanalitica”, quaderni 1-2018.
Soavi Giulia (2009), Essere genitori – un difficile confronto con gli attuali modelli culturali, in Centro di Documentazione GIFT – U.O. politiche Familiari e Genitorialità, Essere genitori oggi – Contesti che cambiano, difficoltà di sempre, Quaderno GIFT, Comune di Ferrara.
Soulè Michel, Noël Janine (1999), La prevenzione medico-psico-sociale precoce, in Lebovici Serge, Diatkine René, Soulè Michel, Trattato di psichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, Borla, Roma.
Stern Daniel Norman, Bruschweiler-Stern Nadia (1998), The Birth of a mother. Trad.It. 1999, Nascita di una madre – Come l’esperienza della maternità cambia una donna, Arnoldo Mondadori Editore, Milano.
Umberson Debra, Pudrovska Tetyana, Corinne Reczek (2010), Parenthood, childlessness, and well-being: a life course perspective, in “Journal of Marriage and Family”, 72:612-629.
Zambianchi Elena (2012), Supporto alla genitorialità: tipologie di intervento e percorsi formativi, in “Formazione e insegnamento”, X:3:79-94.