Transizione alla genitorialità - Attraversare la crisi tra mito e realtà
1. INTRODUZIONE
(A. Pellai, 2007)
Al momento del ritorno a casa nel dopo parto, il neonato nucleo familiare sembra essere accolto da un grande vuoto.
Fino
al momento della nascita, generalmente
ci si ritrova in un carosello di attenzioni
che investono soprattutto la mamma,
anche se per lo più si tratta di attenzioni
di natura prettamente medica e di informazioni improntate alla performance e
all’efficientismo. Una volta nato il bambino, tornati a casa, dopo tanti mesi di
grande fermento e preparazioni, ci si
ritrova spesso soli a fronteggiare una situazione di incertezza e di estrema vulnerabilità emotiva. Particolarmente nel
caso del primo figlio, la domanda che accoglie i neogenitori sulla soglia della loro
nuova vita in tre è: e ora? Già le prime ore
e giorni dopo la nascita, ancora in ospedale in un ambiente che ci si aspetterebbe dover accogliere e tutelare la diade
madre-bambino appena costituita, capita di doversi invece scontrare con pareri
e informazioni spesso contrastanti che
alimentano confusione e senso di inadeguatezza. (Grandolfo, 2012) Soprattutto
in una società in cui il mandato mediatico sembra essere quello di una maternità
zuccherosa e di esaltazione dell’abnegazione in mancanza di qualsivoglia affettività “negativa”, ritrovarsi a dover costruire
la relazione col nuovo membro della famiglia mentre nel contempo si attraversano oscillazioni emotive intense può
sembrare paradossale.
Genitore e bambino reale sono, inizialmente, sconosciuti e può essere difficile
e doloroso rendersi conto che dove ci si
aspettava una sintonia automatica ed immediata ad attendere ci sono invece un
rapporto ed una conoscenza quasi interamente da costruire. (Stern, Bruschweiler-Stern, 1999, Marinopoulos, 2006)
Se mamma e bambino stanno bene, pochi giorni dopo il parto rientrano a casa
insieme al papà, in un ambiente che è
contemporaneamente vecchio e nuovo
e che tutti insieme dovranno imparare
ad abitare. Per quanto si pensi di essersi
preparati durante la gravidanza, non si è
mai veramente pronti a ciò che significa
l’arrivo reale di un piccolo essere umano
in carne, ossa e bisogni che vanno ad incrociare e sovrastare i propri. La nascita
del bambino reale nella mente della madre e del padre, così come quella dell’assetto interno genitoriale, ha tempi diversi
da quelli della nascita fisica: il figlio può
nascere pienamente quando trova uno
spazio per vivere non solo nel mondo
reale ma anche nello spazio mentale di
chi si prende cura di lui. (Cardinali, Guidi, 1992; Stern, Bruschweiler-Stern, 1999;
Marinopoulos, 2006; Bezzi, 2018) Questo
tempo di costruzione e cambiamenti
nelle dinamiche e nell’organizzazione familiare, oltre che nella propria identità, è
scandito da emozioni estreme, in cui l’amore per il proprio figlio a volte rischia di
rimanere soffocato dall’altra faccia della
medaglia: pianti inconsolabili, ritmi sonno-veglia completamente sballati e inadeguati, stanchezza, frustrazione, sbalzi
d’umore, paure ed incertezze che, se non
trovano il giusto spazio di espressione,
possono diventare un carico intollerabile.
Lo stravolgimento dei ritmi, delle abitudini, degli spazi fisici e mentali e l’inevitabile quanto inaspettata ambivalenza
emotiva del post parto, possono rappresentare un vero e proprio shock per i neogenitori, le cui risorse, tanto individuali
quanto di coppia, sono messe a dura
prova. La solitudine, reale o esperita che
sia, nella quale spesso tutto questo viene affrontato può alimentare il naturale
senso di inadeguatezza, gravando tanto
sulla qualità della vita dei genitori quanto sulla possibilità di creare un ambiente
psichico e di cure adeguato per la crescita del bambino.
Ad amplificare la portata dello shock,
per così dire, fisiologico, contribuiscono
diversi fattori. La genitorialità è infatti un
costrutto complesso, a cui partecipano
componenti culturali, sociali, giuridiche
che incontrano altre componenti più
private, individuali e familiari, non sempre amalgamandosi ma, anzi, talvolta
entrando dolorosamente in conflitto.
A livello sociale e culturale, l’immagine
idealizzata della genitorialità, soprattutto materna, spesso non permette ai
personali vissuti reali di trovare ascolto,
espressione, dignità d’essere senza sentirsi profondamente in difetto, mancanti
e, perciò, sbagliati. Nell’immaginario comune la madre è sin da subito capace di
sintonizzarsi con il proprio bambino, che
viene subito sentito come figlio e con il
quale instaura un idillio di gioia e amore che annulla ogni altra cosa. Ritrovarsi
perciò nello scenario, più comune di
quanto la società sia disposta ad accettare, in cui il mito dell’istinto materno non
compie immediatamente la propria magia, provoca doloroso stupore, portando
la donna a pensare di avere qualcosa
che non va. L’idealizzazione della maternità contribuisce inoltre all’incapacità di
accettare, senza sentirsi in colpa, gli inevitabili momenti di stanchezza, irritazione, insofferenza, rabbia nei confronti del
bambino; ma anche l’aggressività è una
componente della maternità e dell’amore genitoriale. Poter riconoscere e dialogare con l’ambivalenza è fondamentale
per non lasciarsi annientare e rischiare di
agirla. In un momento di enorme vulnerabilità psichica, in cui la madre avrebbe
bisogno di sentirsi sostenuta e accolta
in tutta la propria estrema fragilità sulla
quale gravano un modello ed un mandato sociali pericolosi nella loro rigidità e
sordità, tutto questo ostacola, piuttosto
che favorire, il processo di conoscenza
e di sintonizzazione con i bisogni del
bambino, oltre che con i propri, e l’assunzione graduale dell’identità genitoriale.
(Marinopoulos, 2006; Dabrassi, Imbasciati, Della Vedova, 2009; Galimberti, 2009;
Sbezzi, 2018)
2. TRANSIZIONE ALLA GENITORIALITÀ COME CRISI DEL CICLO DI VITA
L’arrivo di un neonato comporta uno dei cambiamenti più profondi e stravolgenti rispetto all’intero ciclo di vita della famiglia: nuovi ruoli da assumere e integrare nella propria identità, nuovi livelli della relazione con il partner e con il proprio ambiente in generale, responsabilità dello sviluppo di un altro essere umano totalmente dipendente per la propria sopravvivenza psichica e fisica. (Nyström, Ohrling, 2004; Cadei, Simeone, 2010)
Il periodo perinatale è quindi di
per sé un tempo della vita eccezionalmente trasformativo e vulnerabile, al di là
dell’eventuale presenza di complicazioni
specifiche: è quello che si definisce un
momento di crisi evolutiva, con tutto il
corollario di complicazioni e potenzialità.
È sbagliato assegnare automaticamente,
come comunemente avviene, una connotazione negativa al termine: crisi è un
processo di cambiamento conseguente
alla rottura di un equilibrio preesistente
che si rivela non più adeguato. L’esito
non è né definibile a priori, né necessariamente evidente. Di per sé il processo
di crisi è intrinsecamente ambiguo, contenendo un doppio potenziale maturativo e patogeno. Mentre la crisi è in atto,
chi si trova ad attraversarla non sa come
finirà; lo sbocco verso cui tenderà il nuovo assetto di funzionamento dipenderà da risorse e vulnerabilità interne legate al
proprio assetto identitario, ma anche da
fattori esterni legati alle risorse ambientali. Nell’economia incerta e delicata che
caratterizza ogni processo di crisi, la rivoluzione della genitorialità è una di quelle
situazioni in cui i fattori ambientali possono giocare un ruolo decisivo nella minor o maggiore difficoltà di transizione e
nella percezione soggettiva delle difficoltà. (Racamier, Taccani, 1986; Cadei, Simeone, 2010; Molgora, Saita, Fenaroli, 2010;
Umberson, Pudrovska, Reczek, 2010)
Se la risoluzione positiva della crisi corrisponde ad un nuovo equilibrio e a nuove identità funzionali e soddisfacenti, è
anche vero che il modo di raggiungere
tali conquiste può essere molto diverso e
più o meno doloroso, anche quando non
francamente psicopatologico.
Osservando coppie che affrontano i primi mesi della loro nuova vita accanto al
proprio bambino, è possibile osservare
non solo l’idillio, ma anche la drammaticità dell’incontro fra persone che solo col
tempo diverranno pienamente madre,
padre e figlio. (Sbezzi, 2018)
Soprattutto il primo anno di vita con il
bambino, richiede un dispendio di energie e risorse interne ed esterne tale da assumere caratteri soverchianti. Da decenni
le ricerche in campo sociale evidenziano
come in termini di effetti sul benessere
dei genitori, almeno per quanto riguarda
i primi anni di vita, i costi sembrano addirittura superare i benefici (rapporto che si ribalta nelle ricerche in famiglie con bambini più grandi: superati i primi anni, i figli hanno effetti positivi sulla percezione di benessere dei genitori). Ricerche più
recenti e avanzate hanno poi integrato
sia una diversificazione delle dimensioni di benessere che considerato fattori
ambientali, personali e familiari che contribuiscono alla percezione soggettiva di benessere richiamando l’attenzione
sull’assenza, nella società occidentale, di
adeguato sostegno del servizio pubblico.
(Umberson, Pudrovska, Reczek, 2010)
Una review della letteratura (Nyström,
Horling, 2004) che si proponeva di descrivere l’esperienza genitoriale materna
e paterna nel primo anno di vita del bambino, ha evidenziato non solo le specificità nei vissuti e nelle difficoltà affrontate
dai due partner per far fronte alla sopraffazione, ma soprattutto l’importanza del
fornire ai neo-genitori un supporto. Dalla
review emerge come entrambi i partner
siano aiutati, nel fronteggiare l’eccessiva
fatica e tensione della situazione, oltre
che dal sostegno del partner e della propria rete di riferimento, anche dalla possibilità di discutere e riflettere su di sé e
la propria esperienza della genitorialità in
spazi dedicati, necessari tanto più nella
famiglia e società odierna.
L’assetto familiare occidentale moderno
può infatti rappresentare terreno fertile
per l’amplificazione, da parte delle aspettative irrealistiche a cui sono sottoposti i
genitori da più parti, del normale vissuto
di inadeguatezza dato dalla transizione
alla genitorialità che andrebbe piuttosto
normalizzato, accolto ed elaborato per
salvaguardare il benessere dell’adulto,
del nucleo familiare e del sano sviluppo psicofisico del bambino. (Galimberti,
2009)
3. SOLITUDINE MODERNA E RICERCA DI NUOVI MODELLI
Sono molteplici le modifiche subite dalle famiglie nel corso del secolo passato in funzione delle radicali trasformazioni sociali, demografiche e culturali: inurbamento, nuclearizzazione familiare, minor numero di figli, ruolo della donna, etc. Tutti questi fenomeni di rapida modifica e complessificazione della società occidentale hanno avuto diverse conseguenze, ancora in evoluzione, sulle modalità di transizione alla genitorialità, in particolare sulle modalità di trasmissione, acquisizione ed elaborazione delle conoscenze oltre che sulla definizione della progettualità educativa. (Nyström, Ohrling, 2004; Andreoli, 2009a; Crittenden, Landini, 2012; Zambianchi, 2012; Grussu, Bramante, 2015)
In passato, infatti, in famiglia si faceva esperienza del rapporto
con neonati e bambini nel proprio contesto familiare, che era spesso quello di
famiglie estese, e nel rapporto con le altre donne e famiglie del proprio contesto
di vita. I nuclei familiari e il loro quadro di
riferimento ambientale comprendevano
molte persone di diverse età: i primogeniti spesso imparavano a prendersi cura
dei fratelli successivi, mentre gli ultimi figli si occupavano dei nipoti nati nel frattempo dai fratelli più grandi o dai cugini;
oggi non è raro che i neogenitori non
abbiano mai preso un bambino in braccio prima del proprio figlio. Questo tipo
di esperienza familiare, oltre a fornire una
sorta di preparazione di base, una conoscenza di ciò che vuol dire allevare un
bambino e delle sue richieste e necessità, rappresentava anche una rete di sostegno per madre e figlio. Un altro fattore
che ha contribuito alla perdita di modelli
di riferimento è l’innalzamento dell’età
media in cui si diventa genitori. Ciò ha
infatti contribuito al divario fra modelli
e nozioni genitoriali passate e moderne.
Tutte queste modifiche socio-culturali
hanno determinato la perdita progressiva di una rete di riferimento e sostegno
a cui potersi aggrappare nei momenti di
incertezza e spaesamento, contribuendo
in alcuni casi a rallentare l’adattamento
relazionale fra genitori e bambino. (Molinar Min, Tosco; 2005Andreoli, 2009a; Crittenden, Landini, 2012)
D’altro canto, negli stessi anni l’aumento generalizzato della scolarizzazione,
delle scoperte e divulgazione scientifica
in ambito evolutivo hanno portato ad
una attenzione sempre maggiore per
le esperienze precoci infantili nella consapevolezza della loro influenza per lo
sviluppo psicofisico del bambino. Ciò ha
dato impulso per la dinamicizzazione e
personalizzazione dello stile genitoriale
ma, nello sforzo a volere il meglio per il
proprio figlio ed essere genitori migliori,
ha anche alimentato insicurezza, dubbi,
paura di sbagliare e la ricerca spasmodica di risposte e modelli rassicuranti da seguire. (Andreoli, 2009a; Andreoli, 2009b;
Battaglia, 2009; Soavi, 2009; Crittenden,
Landini, 2012; Zambianchi, 2012)
La sempre maggior conoscenza delle
dinamiche evolutive se da una parte ha
determinato la possibilità per il figlio di
acquisire dignità di soggetto attivo fin
da prima della nascita fisica, dall’altra,
passando attraverso le maglie della moderna società e degli ideali di ricerca di
perfezione e controllo, è stata spesso
e volentieri (mal)tradotta nel modello
poco flessibile, pedagogizzante e deterministico del “bravo genitore”, concentrandosi generalmente sulle supposte
mancanze e poco o nulla sulle risorse
degli individui in giudizio e senza lasciare
spazio alla sana possibilità di sbagliare e
riparare. Genitore e figlio hanno infatti bisogno di poter fare esperienza dell’errore
e della fallibilità umana e relazionale per
elaborare le proprie capacità riparative di
risposta. (Stern, Bruschweiler-Stern, 1999
Crittenden, Landini, 2012; Cicchiello,
2017)
Il grande fiorire di risposte standardizzate
che radicano e diffondono nell’immaginario sociale, con l’aiuto della comunicazione massmediologica, una causalità
lineare tra benessere e sano sviluppo
infantile e l’adesione spersonalizzata alle
prescrizioni manualizzate, non fa che alimentare i vissuti di colpevolizzazione e
di inadeguatezza cui si propone di dare
risposta, non essendo possibile corrispondere senza inevitabile scarto ad un
modello non calato sulle specificità dei
bisogni, delle preferenze e delle risorse del singolo nucleo familiare. Anche
quando i principi alla base di tali modelli sono corretti, derivanti da evidenze
scientifiche e dalle moderne conoscenze
della ricerca in ambito evolutivo, il pericolo sta nel presentarli come ricette e
istruzioni da seguire pedissequamente
e non come linee guida cui attingere e
riferirsi a partire dal proprio personale vissuto e dall’esperienza familiare specifica.
Non solo: per poter realmente modificare eventuali modalità relazionali disfunzionali, a nulla serve educare comportamenti coscienti se non si agisce a livello
della struttura emozionale implicita su
cui si innesta la comunicazione e il contatto con il bambino, che passa attraverso canali prevalentemente pre-verbali.
(Imbasciati, 2012)
I neogenitori sono spesso portati a tradurre la propria insicurezza in una tendenza alla ricerca di qualcuno che possa
dire loro cosa fare e come, qualcuno più
bravo di loro. Sarebbe auspicabile che
almeno i professionisti dell’area materno-infantile, nell’accogliere il bisogno e
lo smarrimento di chi si rivolge loro, non
concorrano ad alimentare questa tendenza alla delega e alla ricerca di comportamenti educabili. Spostandosi dal
tradizionale modello assistenziale cosiddetto di curing che asseconda interventi
di tipo sostitutivo, a modelli di caring, in
cui l’impostazione relazionale e di tipo
“orizzontale” miri non a rinforzare l’idea
che ci sia qualcuno che sappia come “fare
meglio il genitore” ma a sostenere i genitori nella ri-scoperta e nella stimolazione
delle risorse personali passando per una
conoscenza e dinamicizzazione del proprio assetto affettivo. Aiutare i genitori
a strutturare un ambiente relazionale e
mentale sufficientemente buono per il
proprio figlio e per sé stessi, passa innanzitutto per l’accettazione che tale spazio
psichico non è educabile. Poter sostenere le esigenze di cura del neonato ed
essere non genitori bravi ed efficienti ma
genitori sufficientemente buoni, richiede
aver cura innanzitutto del proprio assetto mentale. Questo passaggio di consapevolezza è necessario e non banale, in
quanto occorre innanzitutto poter depotenziare il “latente ed oscuro senso di
colpa dei genitori che impedisce loro di
vedere quando la relazione col bambino
non va bene … (e che) procede dal riduttivismo coscienzialista per cui si vivono le
proprie capacità mentali come fossero
coscienti e controllabili con una cosciente responsabilità”. Gli approcci educativi e
prescrittivi appaiono rassicuranti sul momento, ma quanto aiutano i genitori sul
lungo periodo? (Imbasciati, 2007; Battaglia, 2009; Imbasciati, 2012; Zambianchi,
2012)
Ciò di cui ogni neogenitore avrebbe allora piuttosto bisogno è uno spazio e
un tempo di attenzione alla perinatalità
psichica del nucleo familiare. Uno spazio
e un tempo per la condivisione e socializzazione dei propri vissuti, che da un
lato possa fornire esempi e modelli cui
attingere per affrontare il proprio personale modo di diventare ed essere genitore e dall’altra dia modo di normalizzare le ansie, angosce ed ambivalenze nel
confronto con quelle degli altri genitori
che vivono lo stesso smarrimento. Uno
spazio e un tempo in cui lavorare sulle proprie rappresentazioni interne e sulle
proprie memorie implicite. Uno spazio
e un tempo per poter pervenire ad una
riflessione onesta e compassionevole su
di sé e sulla relazione con il proprio bambino e col proprio partner, in modo da
poter attingere alle informazioni interne
oltre che a quelle esterne e potersi sperimentare come competente e capace di
amare, al di là delle molteplici voci che
intorno spiegano quando, come e cosa
sia più giusto sentire con e per il proprio
figlio. (Stern, Bruschweiler-Stern, 1999;
Andreoli, 2009b; Imbasciati, 2012; Gioia,
2017)
4. PRENDERSI CURA DELLO SPAZIO-TEMPO PERINATALE
“I primi mesi e anni di vita del bambino sono un periodo critico anche per la formazione di una madre e di un padre; un aiuto, se competente e fornito al momento giusto, può servire molto e i vantaggi di un trattamento su un bambino molto piccolo ci sono a questo punto ben noti; ora auspichiamo che anche i genitori ricevano un aiuto appena «nati»”
(Bowlby, 1979, p.21)
Da tutto quanto detto discende l’importanza di potersi prendere cura di questa sofferenza, fornendo alla coppia (prima) e alla triade (poi) spazi di elaborazione che testimonino un’attenzione per la genitorialità psichica almeno analoga a quella che negli anni si è sempre più manifestata per la genitorialità fisica, superando il deleterio dualismo mente-corpo; senza rinnegare le grandi conquiste derivate dalla medicalizzazione della gravidanza ma superandone i limiti attraverso il recupero di tutta l’area psichica, nel tempo chirurgicamente estromessa a spese della salute di tutti gli autori coinvolti. (CNB, 2005; Marinopoulos, 2006; Imbasciati, 2007; Grandolfo, 2012; Alderdice, 2018)
Perché se è vero che sono molti i genitori che si adattano con relativa facilità
alla nuova vita e alle nuove richieste, è altrettanto vero che le difficoltà e sofferenze in quest’area sono spesso taciute
e nascoste per paura del giudizio sociale
e per timore di essere considerati genitori incapaci. Per non dire della grande
quantità di vere e proprie condizioni psicopatologiche, sia materne che paterne,
che non arrivano a diagnosi per le stesse
motivazioni, con le conseguenze a carico
di genitore, bambino e intero sistema sanitario. Un dato su tutti: una delle prime
cause di mortalità materna è la mancanza di trattamento della depressione perinatale. Ma senza arrivare a tanto, ne va
della qualità della vita dell’intero nucleo
e dello sviluppo psicofisico del bambino,
per non parlare della relazione di coppia.
(Cardinali, Guidi, 1992; Molgora, Saita,
Fenaroli, 2010; Baldoni, 2016; Bramante,
2018)
La gamma di esperienze e di modalità di
reagire al riassetto è ampia ma porre attenzione al benessere psicologico e allo
spazio-tempo della genitorialità psichica
ha ricadute positive ad ognuno dei livelli
di questo continuum. Non si tratta di far
passare un profilo di esperienza psichica
perinatale valido per tutti, ma di far sì che
ogni futuro genitore, con le proprie fragilità e con le proprie risorse, conosca e
sia consapevole delle dinamiche sottese,
trovando contestualmente la possibilità
di accedere a spazi in cui poterle attraversare insieme ad altri. (Grussu, Bramante, 2018) Anche perché c’è un aspetto
che colpisce e che emerge spesso dalle
ricerche: il disagio psichico di questo momento della vita così particolare, risponde a minime sollecitazioni. Lo aveva già
visto la Bibring (1961): anche le perturbazioni maternali che spesso e volentieri
evocavano modalità psichiche simil-psicotiche reagivano in modo favorevole a
misure psicoterapiche di portata modesta, in ragione dell’estrema sensibilità e
reattività del periodo puerperale all’ambiente reale. (Racamier, Taccani, 1986) La
fragilità di questo periodo, se adeguatamente supportata psicologicamente, da
fonte di pericolo può infatti trasformarsi
in fonte di creatività e di ristrutturazioni
benefiche (Cena, Imbasciati, 2012a)
È importante potersi prendere cura degli
stati interni e mentali propri e del proprio
bambino, coltivando le proprie capacità
metacognitive e di riparazione attraverso
un lavoro che permetta di entrare in
contatto, ascoltare ed esprimere le
proprie emozioni. La capacità riparativa,
infatti, è un atto creativo fondamentale
nello sviluppo della perinatalità psichica
del nucleo familiare, che permette di
non soccombere agli inevitabili errori di
sintonizzazione e contatto nella relazione
ma piuttosto di riparare gli effetti delle
componenti aggressive. Capacità di
comprendere gli stati mentali, funzioni
metacognitive e capacità riparative
sono tutte funzioni che si esercitano
primariamente su dati affettivi, nella
nostra società spesso poco favorite e
veicolate. Ma è proprio questo lo spazio e
il tempo che occorrerebbe poter fornire
in epoca perinatale nei servizi. Insieme
alla possibilità di elaborare e pervenire
ad una rilettura delle proprie esperienze
infantili e nella relazione con i propri
genitori, che hanno una influenza diretta
sulle aspettative e sulle rappresentazioni
interne della genitorialità, e alla
condivisione di tutto questo con altri
che stiano attraversando le stesse
ambivalenze e insicurezze. (Stern,
Bruschweiler-Stern, 1999; Manfredi, 2007;
Imbasciati, 2012)
Una offerta di questo tipo presuppone
e necessita di una formazione adeguata
e continua di tutti coloro che operano, a
diversi livelli e con specifici ruoli, in area
perinatale. Ciò rappresenta un primo step di difficoltà, da affrontare anche tramite un cambiamento concettuale che
miri a sanare la già citata inopportuna cesura mente-corpo e a partire dai percorsi
formativi universitari e di specializzazione
e da proseguire con aggiornamenti costanti. (Cena, Imbasciati, 2012b)
Gli sforzi in tal senso sono più che mai
necessari, come investimento sia in termini di salvaguardia del benessere e della salute della popolazione ma anche in
termini economici e in reale applicazione
di POMI e LEA. Perché la salute perinatale
non dovrebbe essere un lusso per pochi,
frutto di incontri fortunati e casuali con
operatori formati per sensibilità personale, ma diritto dell’intera comunità. (Grandolfo, 2012; Quatraro, Grussu, 2018)
5. CONCLUSIONI
Porre attenzione alla “vulnerabilità parentale” (Soulè, Noël, 1999) fornendo un sostegno al carico psichico rappresentato dalla transizione alla genitorialità attraverso spazi di condivisione e riflessione in cui i neo-genitori sentano accolti i propri vissuti, è un compito che dovrebbe prefiggersi chiunque si occupi di salute perinatale.
In quest’ottica, la psicologia perinatale porta un corpus di competenze che sarebbe auspicabile poter integrare nei servizi forniti alla popolazione in ottica di prevenzione tanto primaria quanto secondaria e terziaria.
- Primaria: attraverso screening su fattori di rischio noti integrabili anche nelle visite di ginecologi, pediatri e MMG, lavorando sin dal pre-parto con i genitori e a livello di divulgazione in modo da contribuire a veicolare un’immagine della genitorialità più realistica nella sua complessità, nella formazione degli operatori per contribuire ad una continuità dell’assistenza che sia il più coerente ed attenta possibile;
- secondaria: fornendo spazi di condivisione post-parto che favoriscano una transizione alla genitorialità sostenuta nella varietà dei vissuti, tanto per coloro che necessitano semplicemente di una risposta alla solitudine o a difficoltà transitorie, quanto per coloro i quali le risorse individuali e familiari mostrano maggiore fragilità nel processo di riassetto identitario, permettendo in tal modo anche di individuare e intervenire precocemente a seconda del minore o maggiore rischio di eventuali evoluzioni patologiche;
- terziaria: intervenendo in quei casi in cui sia già in atto una condizione di inadeguata sintonizzazione sia con i bisogni emotivi del/degli adulto/i che con quelli psicofisici del bambino, quando non una vera e propria psicopatologia. (CNB, 2005; Marinopoulos, 2006; Cena, Imbasciati, 2012a,b; Bramante, 2018; Biaggi, Pariante, 2018; Quatraro, Grussu, 2018)
La possibilità di fornire uno spazio e un tempo per l’accoglienza psichica dell’intero nucleo familiare, passa anche attraverso una ridefinizione concettuale che pensi al momento della nascita come parte di un percorso processuale di vera e propria perinatalità: dai vecchi corsi di preparazione al parto, agli attuali percorsi di accompagnamento alla nascita per arrivare a servizi continuativi che integrino coerentemente almeno anche il puerperio se non il primo anno post parto e che coinvolgano in modo significativo tutti i livelli del nucleo: madre, padre, coppia e triade con possibilità di personalizzazione dei percorsi al bisogno. (Cardinali, Guidi, 1992; Grassi, Guana, 2007; Imbasciati, 2007; Cena, Imbasciati, 2012a,b; Grandolfo, 2012)
Tutto ciò concorre alla creazione di un ambiente sufficientemente buono non solo per il bambino ma per l’intero sistema, fornendo sostegno alle potenzialità evolutive sia del figlio che può pienamente diventare tale che di chi si prende cura di lui che può così pienamente e fecondamente diventare genitore. Supportare la transizione alla genitorialità prendendosi cura tanto delle vulnerabilità quanto delle risorse di ogni nucleo familiare, significa in ultima analisi, favorire le potenzialità evolutive degli adulti di oggi e di quelli di domani e, pertanto, dell’intera comunità.
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