IL MONDO ESTRANEO

Sintonizzazione e intersoggettività nel vissuto schizofrenico

DI COSA PARLIAMO? 

Il mondo degli uomini è costituito da oggetti materiali, persone, luoghi geografici, categorie spaziali e temporali, ognuno dei quali percepiti oggettivamente e personalmente attraverso il proprio ancoraggio ad essi. È il corpo che strutturando la possibilità di agire e sentire nel mondo costituisce il fondamento del nostro sé, ed è attraverso il nostro sentirci un sé che possiamo intuitivamente sentirci “ancorati” a noi stessi e al mondo in cui viviamo (Ballerini, 2010).

Quest’esperienza è immediata nella nostra ovvia quotidianetà, non dobbiamo riflettere sul nostro sentirci vivere ed esistere, ciò accade semplicemente ed incontestabilmente. Immediatamente ed irriflessivamente ci sentiamo distinti dagli altri nostri simili e dagli altri oggetti del mondo, autori e detentori dei nostri stati mentali, possessori di una nostra identità storica dotata di una continuità temporale fluida e aproblematica, indivisibili nel nostro io. È questo modo pre-riflessivo di essere nel mondo che si trova ad essere ribaltato nell’esistenza psicotica, in cui l’immediato sentimento di ovvietà che ci fa sentire uomini tra gli uomini viene meno rendendo tutto meccanico (Borgna, 1995).

Anche il mondo schizofrenico ovviamente è costituito dalle stesse categorie del mondo descritte sopra, ciò che è stravolto radicalmente è il modo di rapportarsi ad esse; la relazione con l’ambiente è incrinata ad un livello basico e si articola secondo le diverse facce dell’autismo schizofrenico (Ballerini, 2010). L’ovvietà del mondo e il senso della propria identità hanno origine dal rapporto tra soggetto e mondo, nel rapporto intersoggettivo tra il Sé e il proprio ambiente, tra sé fenomenico e sé sociale: il senso di realtà che ci fa sentire sintonizzati pre-riflessivamente con il mondo ha una natura profondamente intersoggettiva, ed è solo attraverso una lettura che la osservi attraverso una lente puntata simultaneamente sulle anomalie della coscienza di sé e su quelle dell’intersoggettività che l’esperienza schizofrenica assume significato, (Stanghellini, 2006) rispondendo alla domanda:

 

Cosa è la schizofrenia: un ammasso di macerie e un’aggregazione anarchica di sintomi, o una forma di esistenza dotata di senso: anche se diversa dalla nostra?” 

(Borgna, 1995, p. 96)

Nel vissuto schizofrenico il legame fra il soggetto e il suo mondo è spezzato dalla crisi del senso comune. È stato ipotizzato, particolarmente in ambito fenomenologico, che questa crisi costituisca una parte fondamentale della vulnerabilità schizofrenica e non un effetto conseguente la sintomatologia e il decorso del disturbo. Ulteriori verifiche ed evidenze empiriche sono state raccolte mediante l’impiego di studi longitudinali, in particolar modo su soggetti ad alto rischio (“highrisk subjects”) (vedere capitoli successivi).

La matrice della condizione schizofrenica può essere ben rappresentata dall’autismo, dal distacco dalla comunicazione intersoggettiva con il mondo degli altri mediante intuizione che caratterizza la vita quotidiana dell’essere umano nel suo ambiente sociale (Stanghellini, 2000a). Il termine autismo, in relazione alle psicosi, nelle categorizzazioni nosografiche della psichiatria moderna non è mai menzionato, ciò nonostante è tornato ad assumere dal punto di vista psicopatologico una posizione di spicco nella concettualizzazione dell’essenza schizofrenica. La definizione non è di chiara formulazione, e nella psichiatria nosografica se ne rintracciano delle mere espressioni comportamentali in quelli che sono definiti i “sintomi negativi”, dai quali la soggettività della persona schizofrenica e il suo modo di essere-nel-mondo sono accuratamente ignorati. Quello che la nozione di autismo esprime non è concettualizzabile mediante l’accatastamento di segni clinici, non è frammentabile in una tipica sintomatologia comportamentale, è piuttosto una sorta di “tinta”: è il particolare modo di essere del soggetto che rende i sintomi clinici “tipicamente colorati” e declinati secondo le sfumature della “tonalità” autistica (Ballerini, 2002).

Dall’originale introduzione bleuleriana del termine si è passati ad una visione dell’autismo meno “interiore” e più intersoggettiva: il soggetto si trova in una posizione dalla quale “ascolta” ed “osserva” il proprio mondo (interno ed esterno) attraverso una frequenza di sintonizzazione disturbata. Il contatto ovvio ed intuitivo della persona con l’ambiente, è un processo estremamente delicato dell’esistenza umana che assume carattere patologico non ogni qualvolta vi sia un distacco da tale sfondo pre-riflessivo, ma nel momento in cui si venga a determinare una sproporzione fra “evidenza” e “non evidenza”. È l’impossibilità di tornare indietro per reinserirsi nel movimento del “ciclo dell’attività” dopo lo “slancio personale” che connota patologicamente l’allontanamento dal senso comune. Un esempio “sano” di tale distacco, è l’epochè della fenomenologia, in cui la quotidianità e l’ovvietà del senso comune vengono messe volontariamente tra parentesi e dalla quale si può tornare al mondo dei significati condivisi liberamente. L’aspetto “malato” sta nella perdita di questa libertà: lo psicopatologo vive nel mondo sociale in comune con i propri simili e se ne allontana temporaneamente secondo la propria volontà, con la possibilità di tornarvi in ogni momento; lo schizofrenico, al contrario, vive fuori dalla condivisione intersoggettiva, ed è costretto in una sorta di perenne epochè. È nella dialettica tra la propria individualità e la propria identità sociale, nell’oscillazione libera fra senso comune e coscienza critica che con molta probabilità si trova l’equilibrio della salute mentale (Ballerini, 2002; Stanghellini, 2000a).

Grazie alle scoperte della psicologia dello sviluppo e delle moderne neuroscienze è stata dimostrata l’esistenza sin dall’inizio della vita di abilità innate che ci rendono possibile la formazione della nostra identità individuale e sociale: ma il cammino di tale costituzione, non è un cammino sicuro, stabile e predefinito per tutti. Ogni essere umano segue una strada diversa e più o meno scivolosa. Nasciamo con una dotazione innata di “materiali” e “strumenti” per la costruzione di un percorso, il quale può diventare solido e stabile grazie ad un lavoro intersoggettivo di strutturazione del nostro sentirci nel mondo. Abbiamo la possibilità di procedere o meno nel “progetto” seguendo differenti percorsi, e sebbene ogni essere umano si trovi nel medesimo mondo fisico, il mondo vissuto e sentito dipende anche dal grado di equilibrio raggiunto dalla co-costituzione della nostra identità: ad un estremo c’è un mondo strano e abitato da fredde macchine, involucri deanimati che si muovono seguendo regole ignote di interazione; all’altro estremo si trova l’ambiente della comunicazione intersoggettiva, in cui siamo gli attori principali, insieme agli Altri, della danza sociale e nel quale abbiamo la possibilità di continuare il percorso e la costruzione del nostro essere-nel-mondo.


1. SCHIZOFRENIA COME PATOLOGIA DELL’INTERSOGGETIVITÀ

2. AUTISMO E CRISI DEL SENSO COMUNE COME DISTURBO DELL’INTERSOGGETTIVITÀ

3. SÉ E INTERCORPOREITÀ: SINTONIZZAZIONE COME BASE DELL’INTERSOGGETTIVITÀ

BIBLIOGRAFIA




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